Type de texte | source |
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Titre | Discorsi poetici |
Auteurs | Summo, Faustino |
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Date de publication originale | 1590 |
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, Discorso primo, p. 6
Et quello istesso si può dir de poeti, che de gli oratori, essendo il fin loro o di persuadere, come dicono alcuni, o di acconciamente dire per persuadere, come altri dissero, così ne più ne meno è poeta colui, che non giova, o che ancor nuoce, se nella imitazion, nella favella, e nelle altre parti del poeta non si sarà scordato del debito suo. Et però tanto è spada quella, che defende altrui delle ingiurie, et opprime i malvaggi, quanto è quella, che offende gli innocenti, et essalta i scelerati, se ben l’uso contrario d’ambedue fa differir l’una dell’altra, non nel nome, o nella sostanza, ma nella qualità e nell’officio solamente. Ma non si può (soggiunge egli più oltre) con niun altro paragone più proprio conoscer la natura della poesia, che con questo della pittura simillissima a lei, ne in altro differente, se non che questa è muta e quella parlante. Hor chi dubita, che’l pittore non sia ancor pittore quando che con tutta la ragion e peritia ci imita qual si voglia dannosissima cosa ? E che tanto non meriti il nome dell’arte quello, che ci dipinge la ferità di Medea, come quell’altro, che si rappresenta la castità di Penelope ? Certo ambi son egualmente pittori, neché tanto disuguali et contrari nelle cose dipinte. Onde benissimo disse Platone nel Sofista, che ogni pittura è pittura per qualunque cosa, che mostri dipinta.
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, Discorso primo, p. 12v
Che ben può essere che imiti cose noscive a fine di giovare, come i tragici imitando i tiranni per rimuover i spettatori della vita tirannica, e farla loro odiosa.
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